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Il Messaggero Veneto 26-03-2002

Valduga: è una deriva drammatica

Il presidente di Assindustria: far decantare l'articolo 18 e affidare la soluzione alle parti sociali

UDINE - «Dobbiamo evitare una guerra di religione» aveva detto alcune settimane fa, nel corso di un dibattito con politici e sindacalisti sull' articolo 18, il presidente dell'Assindustria Adalberto Valduga. Adesso che il pericolo evocato si è materializzato, e l'articolo 18 separa due trincee fieramente contrapposte, di conseguenza trasformato «in un fatto simbolico e in uno strumento di lotta politica», Valduga conclude che «è inutile discutere delle modalità della sua riforma, perché sarebbe un dialogo tra sordi».

È una deriva «drammatica» - per il presidente degli industriali friulani -; che ha poco da spartire, ormai, con la sostanza intrinseca delle proposte di abolizione «solo per tre casi e solo per tre anni»; con un'incidenza dunque scarsa sulla realtà del lavoro friulano. L'impressione di Valduga, sottintesa, è che il dibattito si sia infilato in un cul de sac, dove il dialogo prescinde dalla sostanza iniziale del problema. «Ora la cosa più saggia - osserva Valduga - è di farlo decantare, provocandone la "smaterializzazione", e poi affidarne la soluzione al dialogo tra le parti, Confindustria e sindacato», che è la sede naturale, e istituzionale, per la soluzione di nodi sociali di tale portata.

La pensa così tutta l'imprenditoria friulana? Valduga ammette l'esistenza di «sensibilità diverse. Certamente - osserva - il piccolo imprenditore guarda all'argomento in maniera diversa dal medio». Per un diverso coinvolgimento o per una diversa percezione degli interessi sottostanti l'articolo 18, che a tutt'oggi non riguarda l'impresa fino a 15 dipendenti? Difficile tracciare un confine, che Valduga indica comunque nel crinale dei 50 dipendenti; le «diverse sensibilità», a questo punto, si intrecciano e, come dimostra Toffolutti della Faber, contrario alla riforma governativa, senza una chiara linea di demarcazione. La piccola impresa rappresentata dalla Confcommercio regionale, addirittura, considera inutile abbarbicarsi, come il governo ha fatto, all'articolo 18 (questa posizione è stata espressa dal presidente Ascom Marchiori nel corso del citato dibattito) invece di affrontare la riforma di tutto il mercato del lavoro.

Anche perché - osserva Valduga - un dibattito "ideologizzato" ha scarso seguito tra imprenditori abituati a valutare la concretezza della norma e anche i limiti di applicazione. La maggioranza degli imprenditori preferisce infatti, anziché ricorrere all' articolo 18 quando sussistono "giusta causa o giustificato motivo" per licenziare un dipendente, risolvere la "vertenza" contrattando la fuoriuscita piuttosto di subire l'alea giudiziaria di tempi biblici, fino a 5 anni (da rimborsare in caso di reintegro). Teme, l'imprenditoria friulana, un ritorno di fiamma degli scioperi legato al momento politico e all'irrigidimento delle parti sociali, proprio quando l'economia è in mezzo al guado, dalla stagnazione alla ripresa? Valduga premette di non credere all'esplosione di un boom. «La ripresa - sottolinea - comincerà nel secondo trimestre e gradualmente si rafforzerà all'inizio del prossimo anno. Gli scioperi? Non credo ne ostacoleranno il corso. I sindacati hanno sempre dimostrato capacità di accordo».

È lecito dubitare che analoga capacità abbia il governo? E cosa accade se questo timore si concretizzasse? «L'economia non riguarda una parte, riguarda tutti; ed è interesse generale trovare dei punti di convergenza per farla girare a pieni giri» risponde il presidente assindustriale. Nei giorni scorsi, sulla "vexata quaestio", si era espresso anche il presidente della Federazione regionale, Andrea Pittini, la cui premessa - nella realtà industriale del Friuli - era che ci si stesse azzuffando intorno a un non-problema. Com'è possibile - osservava infatti - focalizzare un ragionamento sulla "libertà di licenziare" se le imprese friulane si contendono a suon di aumenti retributivi i dipendenti? E quale interesse avrebbe un'impresa a licenziare un dipendente nella cui formazione ha investito denaro sonante, fino a qualche centinaio di milioni? È sullo sfondo di questa realtà che si colloca una frase dal sen fuggitagli: «Il miglior amico del dipendente è il datore di lavoro»; per significare che, in buona sostanza, il dibattito attuale si incardina all'ideologia piuttosto che alla concretezza.

Non ci sono infine cifre ufficiali sul tasso di assenze dalle fabbriche legato alla manifestazione romana di sabato. In alcuni dei più significativi compendi industriali - come quello osovano - valutazioni di parte imprenditoriale dicono che i lavoratori assentatisi si conterebbero tuttavia sulle dita di una mano.